Mostre - Warhol

 

Finalmente è stata data la possibilità di capire la reale funzione della Pop Art, finalmente è possibile immergersi nella mente di Andy Warhol e guardare con i suoi occhi. Stiamo parlando della mostra organizzata dalla Arthemisia Group e 24 Ore Cultura e curata da Francesco Bonami attraverso le opere della Brant Foundation in esposizione presso la Fondazione Roma Museo (Palazzo Cipolla) in via del Corso a Roma dal 18 aprile al 28 settembre 2014.
La mostra è articolata lungo un percorso ben studiato che definisce gli inizi di Warhol e l'approccio personale che ebbe con il mito della celebrità, la sua ossessione per le icone moderne e le star dello spettacolo. Ma non solo, vediamo Warhol attraverso gli occhi di chi gli è stato vicino, così da integrare al suo estro e alla sua figura pubblica anche l'uomo con le sue manie, fissazioni e debolezze, che lo hanno portato ad essere egli stesso un'icona nel mondo scintillante dello spettacolo. Tutte le opere che compongono la mostra provengono dalla collezione personale di Peter Brant, il quale divenne amico intimo di Warhol in seguito al primo acquisto di alcune sue opere. Da allora seguì l'artista durante tutta la sua vita creando una raccolta di opere straordinaria.
 La mostra ci accoglie con i primi disegni, schizzi e collage che Warhol effettuò come grafico per una rivista di moda di New York: fin da piccolo infatti amava sfogliare riviste e raccogliere figurine dei personaggi famosi del cinema estraniandosi completamente dalla dura realtà della povertà in cui viveva. Sicuramente fu tra i motivi cardine della sua rivoluzione in campo artistico: ormai contemplare l'arte non aveva più senso, l'artista non era più demiurgo, serviva qualcosa che fosse comprensibile a tutti, un'arte che fosse popolare: ecco nascere così la Pop Art in cui i temi comuni sono riportati su tela. Esempio principe è sicuramente la Lattina di minestra Campbell's (pollo con riso) del 1962, come anche le Bottiglie di Coca Cola argento del 1967, elementi unificanti tra popolo e celebrità, in quanto tutti potevano acquistare la minestra e la bevanda e tutti ne usufruivano della stessa qualità. Lungo il percorso proposto nella mostra approdiamo alle famosissime serigrafie, cioè l'utilizzo di fotografie per la maggior parte scattate personalmente, selezionate, tagliate e ridisegnate per riprodurre il risultato finale sempre uguale; una ripetizione di immagini che cambiano sempre e sempre si ripetono (definizione che Warhol diede alla vita). La tecnica delle serigrafie nacque con la sua scoperta del Neo Dada, attreverso il quale arrivò all'interesse del recupero della realtà più banale in opposizione all'enfasi e all'idealismo dell'Action Painting. Questa tecnica infatti rendeva lo stile freddo e meccanico nella riproduzione del popolare, dalla pubblicità ai media, vedendo l'artista come una macchina che non inventa ma riproduce, non interpreta ma ripete all'infinito. Esempio è sicuramente la tela delle 192 banconote da un dollaro del 1962, come anche Trenta sono meglio di una del 1963 in cui riproduce l'opera più famosa al mondo (la Gioconda di Leonardo da Vinci) per trenta volte negando così l'importanza dell'esclusività e sottolineando in gesto meccanico della riproduzione che annienta lo stile e la funzione dell'artista come demiurgo.
Abbiamo anche opere come Il bacio (Bela Lugosi) del 1964 a trascinarci nell'affascinante mondo del cinema e Elvis rosso del 1962 che sottolineano entrambe l'ossessione di Warhol per le celebrità. Come non menzionare Blue "shot" Marilyn del 1964 come incontro tra ossessione per le celebrità e vita personale dell'artista: la macchia bianca sopra la radice del naso di Marilyn è frutto del restauro della tela dovuto al foro di una pallottola. All'interno della Factory (luogo in cui Warhol dava vita alle sue idee ed accoglieva amici, un laboratorio non solo di arte ma una fabbrica vera e propria aperta alla società e al pettegolezzo) Warhol aveva appena finito di disporre a terra alcune sue opere quando entrarono alcuni suoi amici con una certa Doroty Pobber, la quale chiese all'artista se poteva "sparare" alle opere (il verbo to shot in inglese è utilizzato sia per sparare che per scattare foto) il quale acconsentì ignaro delle conseguenze: la donna sparò realmente alle opere. Ma non fu l'unico episodio di spari d'arma da fuoco all'interno della Factory. Questo porta la mostra a spostare l'attenzione sulle fobie e le sindromi di Warhol, tra cui il fascino che aveva per la morte: sono esposte le 9 tele delle Dodici sedie elettriche del 1964 ma anche il Teschio del 1976. L'artista schivò la morte più volte e questo lo segnò a tal punto da voler imparare a vivere perché la vita è troppo breve: la sua carriera infatti si divide tra il prima e il dopo un attentato che subì da parte di una femminista nel 1968 portandolo in fin di vita. Purtroppo la sua fobia per il dolore lo portò alla morte stessa nel 1987 a seguito della richiesta di un'elevata dose di anestetico durante un semplice intervento in sala operatoria.
Interessanti sono la Serie di Polaroid che Warhol fece durante tutta la sua vita, una sorta di diario visivo che sottolinea la sua ricerca di superficialità ed immediatezza.
Il percorso studiato e l'audioguida creata per questa mostra rendono straordinariamente piacevole ed entusiasmante la visita, le opere esposte sono moltissime e di grande impatto, sia per i pezzi più famosi che per i soggetti a noi contemporanei, i quali raccontano un vissuto recente attraverso l'ingenuità dello sguardo di Andy Warhol, la curiosità di un uomo che non ha mai smesso di essere bambino.

Personalmente consiglio la visione di questa mostra, la reputo un successo per l'Arthemisia Group e la 24 Ore Cultura, un fulgido esempio di come si debba allestire un percorso artistico attraverso opere famose e minori, un grande equilibrio dei sensi che lo spettatore può gustare sia visivamente che uditivamente (la musica scelta all'interno della mostra e l'eccellente audioguida che non stanca e non lascia con dubbi e domande). Per chi si troverà a Roma entro il 28 settembre 2014 sarà sicuramente una tappa obbligatoria.

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