Cosa è accaduto al significato di nudo artistico?
Ho riflettuto molto prima di scrivere questo post a causa dell’argomento
alquanto delicato: il 29 maggio 2014 una donna di nome Deborah de Robertis si è denudata all’interno del Museo d’Orsay di Parigi davanti la tela de L’origine
del mondo di Gustave Courbet con
l’intento di riprodurre l’opera del pittore francese. Naturalmente la così
detta “performance artistica” non autorizzata, dopo attimi di imbarazzo, risate
ed applausi maliziosi, è stata bloccata dalla sicurezza che ha costretto la
donna a coprirsi. Successivamente la donna ha rilasciato un intervista al sito
lussemburghese Wort affermando che “Se si astrae del contesto, si
potrebbe ridurre questa performance a un atto esibizionista. Ma quello che ho
fatto non è un atto impulsivo, è un gesto meditato. Mostrando la mia vagina
davanti a questo quadro, in questa sala, in questo museo, ho creato una nuova
opera artistica”. Adesso sicuramente capirete la mia prudenza nel parlare di
tale accadimento e perché non inserisca foto riguardanti l’opera di Courbet e
la performance della donna. I più smaliziati potrebbero gridare al bigottismo o
alla censura, alcuni sostenitori dell’arte contemporanea cercherebbero di
osservare la vicenda attraverso la libertà espressiva ed il galoppante
progresso, ma credo sia più onesto chiamare le cose per quel che sono: siamo
davanti ad uno dei tanti atti di puro e semplice esibizionismo gratuito.
Lasciando perdere i
moralismi e le discussioni da salotto andiamo direttamente alla domanda più
pertinente per poter giungere brevemente a delle conclusioni oggettive riguardo l’atto della
de Robertis: come viene interpretata la nudità nell’arte?
Il nudo in campo artistico è sempre stato un
problema particolare in relazione agli usi, ai costumi, ai riti, alle
concezioni, alla mentalità delle varie società.
Ma partiamo dagli inizi, cioè dall’Arte Antica.
Sappiamo che civiltà come quelle egizia,
sumerica, babilonese e assira adoperavano raramente il nudo nelle
rappresentazioni artistiche, preferendo coprire le figure con vesti leggere o
parziali, così come anche la civiltà minoico-micenea, la quale – come le
precedenti – preferiva impiegare la nudità con scopi mirati (come ad esempio
scene atletiche o rituali). Con l’Arte Greca abbiamo invece un approccio
diverso riguardo la nudità in quanto la civiltà greca, avendo posto al centro
di tutto l’uomo sia intellettualmente che rappresentativamente – compresa l’antropomorfizzazione
delle divinità – conduce una ricerca ideale di bellezza divina attraverso la
resa del nudo eroico su un piano universale, eliminando ogni componente che non
sia in relazione con la sublimazione dell’ideale stesso. Il nudo maschile diventa così studio
principale per l’anatomia, impiegato maggiormente in figure apollinee ed
atletiche; mentre il nudo femminile, con
la sua morbidezza e delicatezza, diviene soggetto della rappresentazione
eterica – si pensi al tema di Afrodite in atteggiamento pudico che tanto ricorre nell'arte classica.
Come sappiamo la civiltà romana assorbì molto della civiltà greca, così anche nell'Arte Romana troviamo le forti influenze elleniche. Per quanto riguarda la nudità in campo artistico, i romani emularono i greci fin dal primo periodo repubblicano utilizzando i modelli del nudo eroico greco - come Hermes, Ares, Zeus, di atleti per gli uomini; Afrodite e Omphale - per i ritratti personali, anche se il ritratto per eccellenza rimarrà sempre la togata o la loricata.
La fine dell’epoca classica, le contaminazioni
delle culture barbariche e la proliferazione del cristianesimo, furono tutte
componenti decisive per la scomparsa della nudità nella vita pubblica, non più
intesa come sinonimo di civiltà superiore alle altre ma come condizione
denigrante e vergognosa, tanto da doverla giustificare in campo artistico con elementi iconografici. Nell’Arte
Medievale infatti veniva applicata la teologia
morale, la quale attribuiva alla nudità quattro significati simbolici:
la nuditas naturalis, la condizione
naturale dell’uomo che induce umiltà (la troviamo nelle figurazioni della Genesi
o nei Giudizi Universali, come anche in quelle martirologi che o scientifiche);
la nuditas temporalis, cioè la
povertà dei beni temporali che può essere scelta volontaria (come per gli
apostoli o i monaci) oppure dovuta alla miseria;
la nuditas virtualis, rappresentativa dell’innocenza;
la nuditas criminalis, sinonimo di mancanza
di virtù, lascivia e vanità, dunque impiegata nelle rappresentazioni di
divinità pagane, demoni, vizi e uomini corrotti dal peccato (si pensi alle
figurazioni profane dell’arte gotica).
Solamente nel protorinascimentale si giunge alla
nudità come figurazione di una Virtù, prima al maschile, poi anche al femminile. Nicola Pisano utilizzò un Ercole nudo per rappresentare la Virtù della fortezza (1260 circa) nel pulpito del Battistero di Pisa e, successivamente, Giovanni Pisano incluse nel suo pulpito nel Duomo di Pisa (1301-1310) la figura della Temperanza o Castità modellata secondo la "Venus pudica" classica. Le personificazioni delle Virtù rimasero ancorate ad un carattere ecclesiastico, mentre nel Rinascimento troviamo il tema della "Verità nuda" svincolato dal carattere religioso ed immerso nel piano secolare. Il merito va a Leon Battista Alberti, il quale nel suo Della pittura richiama all'attenzione dei pittori moderni la "Calunnia di Apelle" di Luciano, dando nuovo valore alla figura della Verità; prendendo l'epiteto che Luciano diede al Pentimento - pudica o pudibunda - Alberti scatena l'immaginario artistico riguardo una Verità "vergognosa e pudica" e perciò nuda: diviene così rappresentata come "Venus pudica". Ne abbiamo un esempio con Sandro Botticelli (La Calunnia di Apelle, tempera su tavola, 1494-95. Firenze, Galleria degli Uffizi).
Sia nell'Arte Rinascimentale che nell'Arte Barocca troviamo la popolarissima figura della nuda Veritas, la quale con il tempo verrà assunta come simbolo della verità in senso filosofico generale. Ma non solo, viene riscoperto il nudo dell'arte classica, che porterà gli artisti dalla corrente neoplatonica in poi ad utilizzare la nudità non solo come studio dell'anatomia umana, ma come simbolo di eroicità fisica e spirituale, un forte richiamo all'antichità e alla sua purezza (Si pensi agli affreschi di Michelangelo nella Cappella Sistina in Vaticano).
Così l'arte ha continuato a guardare al Nudo Classico dell'Antichità come fonte di ispirazione, rinnovando continuamente il suo significato, da spirituale a sensuale, da mitologico a ritrattistico, da puramente filosofico a studio del reale.
Giungiamo poi alla completa dissociazione del concetto di nudità classica con l'ostentazione provocatoria cercata nell'Arte Contemporanea. Nudità non più utilizzata come in passato ma puro strumento esibizionista e sensazionalista, con forte impatto erotico e mercificatorio; si giustifica ormai l'ostentazione del nudo con l'emancipazione e la libertà d'espressione, non si ha più un utilizzo come vero scopo comunicativo ma come snaturazione dell'umana figura a vantaggio della notorietà. Possiamo dunque affermare che ai giorni nostri il reale concetto di nudità nel campo dell'arte è quasi del tutto scomparso, lasciando purtroppo il posto alla visione scandalosa del corpo maschile e femminile come solo strumento di piacere.
Perciò non possiamo più stupirci se persone che si definiscono artiste mettono in scena grottesche performance di nudità in nome del'arte suscitando la tanto desiderata attenzione da parte dei media.
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